In questo
piccolo antro di mondo vorrei parlarvi della più grande scrittrice
d'avanguardia del Novecento. Di una donna che fece della lotta per i diritti
delle donne uno dei più grandi impegni della sua vita, insieme a quello di
sovvertire il romanzo classico per renderlo più moderno e rispondente ai
mutamenti del carattere umano. Sto parlando di Virginia Adeline Stephen, più comunemente
nota come Virginia Woolf.
Nata nel 1882 in una delle famiglie londinesi più in vista e cresciuta in un
ambiente eccezionalmente stimolante, frequentò fin da bambina i maggiori
intellettuali e scrittori dell'epoca, ma la rigida educazione vittoriana, che
prevedeva che solo i figli maschi avessero diritto all'istruzione pubblica, fu
per Virginia motivo di enorme frustrazione che mise in lei radici profonde e
spianò la strada al suo futuro impegno politico in difesa dei diritti e
dell'istruzione delle donne.
Virginia sopperì all'inadeguatezza dell'istruzione ricevuta dedicandosi anima e
corpo alla lettura e alla scrittura e servendosi degli insegnamenti dell'amato
fratello Thoby, studente di Cambridge.
Nonostante l'infanzia dorata e il grande successo riscosso dalle sue opere,
Virginia non riuscì mai a gioire per la propria fortuna. La perdita della madre
a soli tredici anni, del padre e del
fratello pochi anni dopo, le ambigue attenzioni del fratellastro e il
forte senso di inadeguatezza crearono in lei una frattura profonda che non si
rimarginò mai e ne segnò l'intera esistenza, provocandole frequenti crisi
depressive che la costrinsero a ripetuti ricoveri in clinica e la portarono a
tentare due volte il suicidio, la prima fu proprio dopo la morte del padre,
fino al fatidico 28 marzo 1941 quando, terrorizzata all'idea di perdere per
sempre la propria lucidità, si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare
nel fiume Ouse.
“Il pieno uso delle nostre facoltà significa felicità.”
“Non faccio che udire voci e so che questa volta non ne
uscirò. Ho lottato, ma non ce la faccio più.”
Scrivere era per Virginia la "grande
gioia" di poter rendere reale per mezzo delle parole il disegno celato
dietro il non essere, ossia dietro le apparenze della realtà quotidiana.
"Il piacere di pensarci era tale che mi sentii felice
come non mi accadeva da mesi; come messa al sole; o sdraiata su cuscini; e dopo
due giorni [...] mi abbandonai al puro diletto di questa farsa: che godo come
non ho mai goduto niente",
scrisse durante la stesura di "Orlando".
Per quanto
gioisse in quei frangenti, però, la pubblicazione delle sue opere era sempre
motivo di gravi crisi: non tollerava la tensione e l'ansia per il giudizio del
pubblico e della critica, poiché temeva di non essere capita e che la propria
arte a cui aveva dedicato tanto impegno, dedizione ed energia rappresentasse
per gli altri una mistificazione.
Fu proprio
durante la snervante attesa per l'uscita di
"La crociera", la sua prima opera, che Virginia tentò il suicidio
per la seconda volta, ingerendo cento pasticche di Veronal, approfittando della
momentanea assenza del marito Léonard. Si salvò, ma le crisi si attenuarono
solo quando il suo romanzo raccolse il favore della critica e del pubblico.
Oltre alle lotte interiori, Virginia si mise in prima linea per sovvertire i
canoni del romanzo classico esaminandone ogni aspetto, vivisezionandolo per
renderlo più vivo e attuale.
"Il carattere umano è mutato, si è fatto frammentario
ed elusivo."
"La vita non è una serie di lampioni piantati in forma
simmetrica, è un alone luminoso semitrasparente che avvolge la nostra coscienza
dall’inizio alla fine. E non è forse compito del romanziere saper rendere
questa qualità fluttuante, inconoscibile, inafferrabile, con il minimo
intervento di ciò che è sempre esterno ed estraneo?”
Nonostante
la paura del giudizio altrui, e il timore di non essere capita o male
interpretata, Virginia Woolf non smise mai di mettere in discussione se stessa
e il mondo che la circondava, rifiutandosi di accettare la realtà delle cose
per pura convenienza e quieto vivere. Nonostante le proprie incertezze e
insicurezze lottò fino alla fine per cambiare le cose, per far sentire la
propria voce e il proprio pensiero.
“Esaminiamo per un momento una mente
comune in un giorno comune. Essa riceve una miriade di impressioni - banali,
fantastiche, evanescenti o scolpite da una punta d’acciaio - che le provengono
da tutte le parti. È come una pioggia incessante di atomi... Registriamo gli
atomi così come essi cadono sulla mente e nell’ordine in cui cadono, tracciamo
il disegno, per quanto sconnesso o incoerente sia all’apparenza, che ogni
immagine o incidente incide sulla coscienza”.
E fu attraverso queste profonde
riflessioni che prese vita l'innovazione di Virginia ovvero il monologo
interiore, il flusso di coscienza che le permise di esplorare meravigliosamente
l’interiorità dei personaggi. «Noi siamo
zebrati, multicolori».
Il percorso narrativo di Virginia Woolf seguì pedissequamente le sue
riflessioni, a partire dai primi lavori
"La crociera" e "Notte
e giorno" in cui Virginia dimostrò di padroneggiare la tradizione
classica del romanzo, e spingendosi via via sempre più oltre immergendosi nel
suo Olimpo di introspezione dei personaggi, delle loro complessità emozionali e
psicologiche, e snobbando completamente la trama, considerata dalla Woolf "volgarità da giornalisti".
"Niente impalcatura, non si deve vedere un solo mattone".
La cosa sconvolgente di questi romanzi e che testimonia l'estrema bravura, la
maestria e il talento di Virginia Woolf è la capacità di tenere il lettore
incollato alle pagine dei suoi libri pur non raccontando nulla o quasi. In "Mrs Dollower" tutto si
concentra sui preparativi di una festa e in
"Gita al faro", considerato il suo più grande capolavoro, ruota tutto attorno ai preparativi di
un'escursione che si compirà soltanto dieci anni dopo. È l'Io il protagonista
assoluto e indiscusso nelle sue opere, tutto il resto non ha alcuna importanza,
poiché per Virginia "È essere, e non
fare, ciò che conta".
Oltre a vivisezionare e sovvertire il romanzo classico, Virginia si impegnò attivamente
in difesa delle donne e dei diritti umani in generale, sostenendo le
suffragette, battendosi per la parità d'istruzione, per l'indipendenza
economica ritenuta dalla Woolf basilare per la libertà di ogni donna, e per
l'affermazione della cultura femminile, diventando a tutti gli effetti una
paladina del femminismo tanto che i suoi scritti, in particolare "Le tre ghinee" e "Una stanza tutta per se"
furono rispolverati dalla grande ondata femminista degli anni settanta e
proclamarono la Woolf antesignana anche in questo campo. Fu proprio alle donne
che Virginia dedicò la maggior parte dei suoi componimenti, disegnando
personaggi indimenticabili come Rachel, protagonista de "La crociera" e senza dubbio il più simile a Virginia
stessa con le sue inquietudini e il suo usare l'arte (la musica per Rachel e la
scrittura per la Woolf) come strumento per esternare il proprio essere,
passando per l'effimera quanto profonda Mrs Dollower a cui affidò tutto il
proprio sentimento nei confronti della vita e della fuggevolezza di ogni
istante vissuto.
"C’è una cosa che conta... una cosa
che conta, nella vita, e che viene addobbata di chiacchiere, deturpata,
cancellata, di giorno in giorno, lasciata lì a corrompersi, fra chiacchiere e
menzogne. Lui, invece - il suicida - l’aveva preservata. La morte è un atto di
sfida. La morte è un tentativo di comunicare, allorquando si avverte
l’impossibilità di raggiungere quel centro, quella meta che, misticamente, ci
elude: ciò ch’è intimo diviene separato; l’estasi si dilegua; si è soli. Nella
morte c’è allora un amplesso."
"Lo sa il cielo soltanto difatti
perché la si ami sì tanto, ciascuno a suo modo, la vita, inventandosela magari,
costruendola ciascuno intorno a sé, disfacendola e creandola daccapo ogni
momento."
Ma è ispirandosi alla defunta madre che Virginia Woolf creò, forse, il suo
personaggio più intenso, ovvero Mrs Ramsay, la protagonista femminile di "Gita al faro", e fu proprio
scrivendone le gesta ed esaltandone il ricordo che Virginia ne elaborò il
lutto, benché con trentadue anni di ritardo.
«Probabilmente feci a me stessa quello
che gli psicoanalisti fanno ai loro pazienti. Diedi espressione a qualche
emozione antica e profonda. Ed esprimendola ne trovai la spiegazione e la potei
riporre placata».
La sua ribellione contro il romanzo classico, da lei considerato troppo
maschilista, e l'assiduo impegno per il riscatto femminile nacquero dal suo
essersi sentita fin da bambina vittima di una società patriarcale, oppressiva e
castrante nei confronti delle donne e le esortò a scrivere in quanto donne,
orgogliose di esserlo, non dimenticando però che "La mente dell'artista è androgina". A suffragio di
questa tesi spezzò la rigida identificazione sociale dei due sessi scrivendo le
rocambolesche avventure di Orlando, personaggio ora uomo e ora donna, ispirato
all'amica lesbica Vita Sackville West.
La forza di Virginia fu proprio quella di rimanere fedele a se stessa e alle
sue convinzioni senza lasciarsi soggiogare dalle proprie debolezze e dalle
difficoltà di un mondo in contrasto con il proprio essere e che la riteneva
inferiore solo perché donna. Lei si oppose, nonostante i propri disordini
emotivi e dimostrò di avere ragione, incrinando vetuste e radicate ideologie,
sovvertendone gli schemi e innovando non solo il modo di scrivere, ma anche
quello di pensare.
In un'epoca
come quella attuale dove il panorama editoriale è affollato di romanzi aventi
la medesima banale trama, pretesa spesso dagli stessi lettori felici di
anestetizzarsi nella placida e sicura certezza di una trama senza sorprese,
un’epoca protesa verso l'apparire più che l'essere e il sentire, un'epoca che
privilegia l'estetica e che snobba l'introspezione, viene da chiedersi se non
ci sia il bisogno della lucida follia di Virginia Woolf che sovverta gli schemi
e scuota le menti per ricordarci che è nella profondità di noi stessi - e dei
personaggi - che dobbiamo concentrare le nostre energie poiché è solo lì, e non
altrove, l'essenza stessa della vita.